My Lovely Quarantine #1
|Mettiamola così: uscirò da questa quarantena bianco, flaccido e sfiancato. In compenso reggerò l’alcol come uno scaricatore di porto di Plymouth di fine Ottocento. Se c’è una cosa positiva in questa segregazione è che ho potuto regolare qualche conto in sospeso. Parlo della cantina ovviamente. Ho iniziato a parlare come le bottiglie, specie con quelle che mi guardavano storto ogni volta che scendevo. E’ una cosa di famiglia: mia madre parla con le piante e secondo lei funziona. Io invece mi sono focalizzato sulle bottiglie. Ieri me la sono presa con una bottiglia di rossese che traballava troppo. Ho minacciato di rinchiuderla in una cassetta con 5 riesling il più giovane dei quali aveva un fratello che è stato stappato al Berghof la sera che Hitler e Ribbentrop si ubriacarano correggendo la bozza del trattato di non aggressione con la Russia. Ha smesso di traballare.
In ogni caso impilando e risistemando sono venute fuori cose di cui ignoravo l’esistenza. Bottiglie che se neanche sotto tortura avrei mai ammesso di aver comprato. Ma tant’è. Ho anche stappato parecchio, con la scusa ufficiale di tenere il tricipite tonico. Qui c’è una sintesi semiseria.
Horiot Solera Brut Nature: Uno champagne composto e minimalista. Senza esibire riesce a dettagliare una mineralità fine e irragiante. Si può fare l’errore di sottovalutarlo e io l’ho commesso.
Tribouley Les Copines (lotto 18.4): È una ballerina del Moulin Rouge con il rossetto sbafato e i capelli incollati da una lacca da quattro soldi. Vanno bene i fruttini, la gelatina ai fruttini e pure lo sciroppo di fruttini ma di fronte alla glassa di fruttini mi fermo e dico basta. Ecco un vino dove la ricerca della golosità si è spinta oltre, almeno fino alla Nube di Oort secondo me (tra 0,3 e 1,5 anni luce dal Sole, anno più anno meno). Ma visto che sono in quarantena ho dovuto berne quasi una bottiglia prima di accorgermene.
De Montille Beaune 1er Cru Les Sizies 2010: Lo annunsi e pensi: che ne voi di’ ? Lo bevi e dici: che je voi di’ ? Lo riassaggi dopo mezz’ora e dici: ma non è che qui….famme risenti’ ? Eh si perché (purtroppo) alla fine si sente un po’ di brett. Ma neanche poco purtroppo e pure fastidioso. Però resta il fatto che sia un vino bellissimo nella sua apertura iniziale, per come resta sospeso tra una lieve diluizione e un tannino ormai rotondo e compiuto.
Cotar Vitovska 2011: Pensavo fosse un vino invece era un MAGNETE. Appena aperto mi è venuto da girare la testa a scatto verso il lavandino, con il suo color cuoio lesso e arancia appassiata. È l’annata calda, ho pensato. E infatti c’ho pijato, come si dice dalle parti nostre. È tutto un girare attorno al concetto di calore: i colori, gli odori. Però è bello come questo vino abbia avuto la capacità di trafigurarsi. Di abbandonare la sua veste tradizionale per diventare qualcos’altro, a metà tra il distillato e il vino da meditazione. Fatto sta che mi attira: sta sul tavolo da 5-6 giorni e ogni tanto vado là e ne bevo un goccetto per vedere che effetto fa, anche solo per constatare se è ancora vivo. E niente: e’ ancora nel pieno del suo travaglio e continua a tirare fuori cose.
Chicotot NSG Aux Allots 2014: Leggo che viene da un posto abbastanza sfigato ma ero curioso di aprire una bottiglia di questo produttore di cui Giampaolo Gravina mi aveva parlato più che bene. Pure l’annata è quello che è ma devo dire che, malgrado il pronostico sfavorevole, ha fatto un figurone. Un vino veramente didattico per capire quello che dovrebbe essere un NSG, almeno nella sua versione village. Richiama la terra, sente i profumi del bosco, in fondo la mineralità scura. Gli giova forse una annata fresca che esalta i toni vegetali.
Paraschos Ponka 2010: Qualche giorno fa ho chiesto ‘conforto’ a Matteo Gallello su questo vino. Volevo essere sicuro che fosse così buono. Mi rendo conto che è difficile scegliere le parole. Tentare di scomporre questo vino per descriverne il colore o il sapore sarebbe un esercizio ingiusto oltre che inutile. Qui la percezione passa per l’intuizione di un ‘tutto’, di una Gestalt, non per l’analisi di singole parti. Nel mio vecchio libro di psicologia sociale c’è questa definizione che calza a pennello: “Il tutto è diverso dalla somma delle sue parti” (Das Ganze unterscheidet sich von der Summe seiner Teile), direbbe Emanuele Giannone. È raro un vino così e, senza piaggeria, dico che chi lo produce (Alexis Paraschos) fa un dono, non un vino.
Claudio Celio