Radda 2016: la grande bellezza

Radda 2016: la grande bellezza

Il bell’appuntamento organizzato dai Vignaioli di Radda lo scorso week-end è stata l’occasione per fare un ripasso dell’annata 2016 in Chianti. Assaggiata lo scorso anno nella versione base in modo più esteso alla Collection, in questo caso la prospettiva si è ristretta al solo osservatorio di Radda.  

L’impressione è quella di una grandissima annata. Anche qualche produttore si è sbilanciato, parlando della 2016 come della migliore annata prodotta da un bel pezzo a questa parte. Il paragone che viene citato più di frequente è con la 2010, annata iconica per il Chianti. Da un punto di vista climatico, a Radda nel 2016 non si è registrato alcun evento estremo di rilievo, la primavera è stata piovosa, l’estate calda ma con temperature nella norma; settembre mite e soleggiato. La maturazione delle uve è stata perfetta. L’idea complessiva è di una annata che ha restituito vini equilibrati che hanno saputo fondere le caratteristiche di annate come la 2014 (marchiata da una acidità viva, in alcuni casi anche troppo) e la 2015 (connotata in genere da grande struttura, calore e ampiezza).

Pur nella inevitabile varietà legata agli stili produttivi, a Radda, i Chianti Classico 2016 sembrano condividere una tendenza alla misura e all’equilibrio. Nei casi migliori i vini esibiscono un dettaglio espressivo articolato, territorialmente coerente e, cosa che mi spinge a mettere in cantina molti vini di questa annata, ancora solo parzialmente sbocciato. Spesso la profondità e la complessità di questa annata è una intuizione; più raramente ho assaggiato vini già in grado di comunicare sin da ora la grandezza dell’annata. Nella degustazione la qualità media dei vini è stata complessivamente elevata.

Ecco alcuni degli assaggi migliori della giornata:

Carleone Chianti Classico 2016: c’è una sensazione di dolcezza e accoglienza che è facile scambiare per ammiccamento. Nel primo round di assaggi è l’impressione che è prevalsa. Riassaggiato il giorno dopo, con più attenzione, mi ha convinto. Molto di più. Mi è sembrato più bilanciato. Il vino resta sicuramente scorrevole, ma non è affatto scontato. Forse paga qualcosa in termini di ricchezza della materia ma non c’è dubbio sul fatto che articolazione del gusto e dei tannini sia ramificata e complessa.      

Montevertine Pergole Torte 2016:  Non faccio fatica ad ammettere che sono arrivato un po’ prevenuto al banchetto di Martino Manetti. Avevo trovato le ultime due annate (la 2015 e la 2014) un po’ condizionate dal legno, compresse e difficilmente leggibili nella prima fase della vita in bottiglia. Sinceramente mi aspettavo lo stesso dalla 2016. Invece ho trovato un vino semplicemente delizioso, già compiuto ma che lascia intuire una parabola ancora lunghissima, dagli esiti imprevedibili ma che non si fa fatica a prevedere come eccellenti. Stupisce la capacità di condensare qualità che raramente si trovano tutte insieme e quasi mai marciano all’unisono: è da subito frutto e fiore, vino in tensione ma a rilascio lento, con un tannino aggraziato e gustosissimo ma che guadagnerà ulteriore finezza nella sfida con il tempo.      

Val delle Corti Chianti Classico 2016: Se Roberto Bianchi riesce a fare vini equilibrati in annate che tutto sono tranne che equilibrate (si veda la 2011) figuriamoci cosa può succedere quando ha per le mani uve ‘naturalmente’ tendenti all’equilibrio. E infatti il suo Chianti Classico 2016 è la sintesi della proporzione. Il naso, sul registro fresco-balsamico, è composto, quasi timido se si mette a confronto con quello che risuona in bocca. Sembra essere più indietro rispetto al Pergole Torte nell’evoluzione della trama tannica ma il vino è percorso da una vena di energia profonda di cui si avverte l’eco nella tenacia con cui il vino fodera e amorevolmente intrappola la bocca.

Poggerino Chianti Classico Buggialla 2016: è un vino ritroso, ancora poco incline al compromesso gustativo. Ha tuttavia una innegabile eleganza, il contegno di una nobiltà inaccessibile. E’ il vino che più sente il frutto scuro, la terra, la mineralità che sa di grafite. Eppure non pecca mai di troppa maturità; non si siede e resta turgido fino ad bellissimo finale che fa pensare alla fioritura della lantana.

Monteraponi Campitello 2016: Il suo campo da gioco non è quello della sottigliezza ma quello della profondità. In bocca dettaglia tutti i toni della frutta rossa, uniti ad una sapidità irraggiante. Anche qui, come nel caso del Pergole Torte, si intuisce solo l’abbozzo di una traiettoria temporale lunga e ricchissima. Il vero punto di forza sta nella prodigiosa fattura del tannino: è una intelaiatura di lusso che si mette al servizio del vino senza sopravanzarne le altre qualità. Già saporito ed elegante. Come si dice in questi casi: il futuro sarà radioso.

Roma, il 30 maggio 2019
Claudio Celio

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