Aligoté: il vino marginale
|Aligoté: il vino marginale
Alcune note su una recente ricognizione dedicata all’Aligoté, vitigno come noto marginale in Borgogna. Dodici bottiglie intorno a cui è stata costruita una ricognizione ampia che ha lasciato emergere qualche picco significativo.
Non parlo di tutti i vini ma solo di quelli che hanno lasciato una traccia nella mia personale esperienza di degustazione.
Solo un breve cenno quindi su quelli che mi hanno deluso (chi piu’ chi meno) e su quelli, secondo me, non hanno restituito un assaggio veritiero per difetti/stanchezza della bottiglia (Leggasi Leroy).
Leroy Bourgogne Aligoté – 2007 (riduzione cocciuta che declina le diverse declinazioni dello zolfo, dallo zolfanello alla miccetta).
Domaine Sylvain Pataille Bourgogne Aligoté “Champ Forey” – 2015 (rovere decisamente invadente).
Paul Jacqueson Bouzeron Les Cordères – 2015 (un onesto Bouzeron).
Paul Pillot, Aligoté – 2015 (francamente un vino piatto, senza guizzi).
A&P de Villaine Bouzeron Aligoté – 2016 (Bah…è sembrato non solo a me un vino un po’ costruito, ammiccante, con note al limite del tropical, che per un Bouzeron mi sono sembrate poco tipiche).
Naudin Ferrand Aligoté Le Clou 34 – 2015 (paga dazio all’annata ? Chissà ? Comunque restituisce l’idea di un vino largo, scarico di acidità, con una beva poco coinvolgente).
Note:
Domaine Yann Durieux Vin de France “Love and Pif” – 2015
Aligoté scapestrato in versione ‘wild’. Sembra l’esito di una vinificazione volutamente trascurata. Mette in mostra un bel mix di erbe aromatiche (rosmarino e alloro) ma l’ossidazione comprime i profumi che si coagulano intorno alla sensazione della foglia secca, disidratata, tutt’altro che vitale. Sprizza energia, non c’e’ dubbio, ma lo fa in troppe direzioni e finisce per confondere le idee.
Fanny Sabre Bourgogne Aligoté – 2015
Degustato accanto al vino di Yann Durieux finisce per sembra un vino di raffinata educazione. Quasi pudico e austero. La vena sponty è molto meno marcata e il vino ne guadagna in equilibrio. Toni fruttati o agrumati praticamente assenti; piuttosto spiccano i cereali e una tattilita’ da vino maturo, compiuto.
De Moor, Aligoté – 2011
Ha un impianto minerale e su questo ci sono pochi dubbi. Come ci sono pochi dubbi sul fatto che l’annata finisca per penalizzarlo un po’. Forse una bottiglia un po’ stanca perche’ lo stesso vino qualche mese fa aveva una verve decisamente più esuberante. Resta un po’ sulle sue e non ha il guizzo che gli consentirebbe di uscire dai connotati tipici dell’annata calda.
Rateau, Bourgogne Aligoté “Les Grands Bignons” – 2015
Il 2015 non è un anno da Aligote ma questo vino di Rateau è talmente buono da mettere in crisi una affermazione che sembra ovvia. Riassaggiato a 2 anni di distanza, si nota subito come il tempo passato in bottiglia gli abbia giovato nettamente. Vino che ha completato la sua evoluzione e ora vive probabilmente il suo picco. Sfodera una sapidità profonda e quieta. Entra in bocca quasi severo ma si apre su toni marini che rimandano alle alghe. Sviluppo saldo, senza cedimenti, e chiusura che lascia una netta traccia salina.
Ponsot, Morey St. Denis Le Mont Luisants Premier Cru – 2004
Aligoté tridimensionale. I 15 anni che ha sulle spalle li dimostra solo per un principio di ossidazione che non solo è naturale ma anche benedetto, in quanto conferisce profondità ulteriore ad un vino che già di suo non difetta di personalità. Come in altre annate, anche questa versione 2004 consegna un vino vivo, in pieno dialogo con il tempo. Ci sono sbuffi di distillato e un accenno di mela grattata ma mi sembra che il velo dell’evoluzione non sia riuscito ad imbrigliare una energia che doveva ancora essere rabbiosa fino a qualche anno fa. Va notato che nel vino c’e’ un saldo sensibile di Chardonnay (intorno al 15/20%, dal 2004 in poi questo vino è Aligoté 100%)
Coche Dury Aligoté – 2016
Si dirà un peccato aprirlo così giovane ma io dico pure no. In fondo è didattico per capire le potenzialità un grande vino anche se in fasce. Ha una purezza cristallina e colpisce il fatto che lasci una sensazione quasi tannica all’ingresso in bocca. È potenza concentrata in un punto: una massa di gusto, sapore e persistenza che impegnerà anni a dipanarsi. Ha il difetto di costare oltre 150 euro ora che è troppo giovane ma forse costerà il doppio quando sarà aperto e pienamente godibile. “Che fare?” direbbe Vladimir Il’ič Ul’janov, comprarlo ora e tenerlo 10 anni in una cassaforte sigillata o accumulare monete in un capiente dindarolo n attesa di un futuro comunque luminosissimo?
Claudio Celio