Ammàno #3 (2015) di Marilena Barbera
|Ammàno #3 (2015) di Marilena Barbera
Poche righe, perché assaggiando nuovamente Ammàno #3 sono tornato con il pensiero alla tre giorni dell’8, 9 e 10 aprile 2016 (Cerea, Villa Favorita e Vinitaly). Per quanto mi riguarda un vero e proprio tour de force, con degustazione di almeno 150 etichette – senza ingerire il vino, checché se ne dica… – tra le quali alcune scoperte, conferme e numerosi motivi di riflessione, certamente funzionali ad una crescita personale.
Prima ancora ci sono le persone. Come dice l’amico Claudio Celio (curatore della rubrica Wine24 per il Sole 24 ore) sono loro che ti restano dentro e fanno la differenza anche a distanza di mesi, quindi l’accoglienza di Ercole Zarella e Antonio Lo Priore, la prima stretta di mano con Sabino Loffredo e Federico Staderini, per terminare proprio con Marilena Barbera.
Mi ero ripromesso di acquistare una bottiglia di Ammàno #3, poiché in quell’occasione l’assaggio del vino era stato penalizzato da una temperatura di servizio decisamente elevata – era finito il ghiaccio – e probabilmente anche da un palato stanco dai precedenti sorsi. Approfittando di una cordata romana su Vinix ne ho acquistate tre e menomale.
Rispetto alla prima annata, che fa riferimento alla vendemmia 2013, siamo passati da una produzione di 490 bottiglie a 861. Ad ogni modo quantità irrisorie per Ammàno, un vero e proprio gioiellino inseguito dagli appassionati del settore. L’ashtag numero tre rimanda quindi al millesimo 2015, un’annata calda che ha visto aumentare il livello di gradazione alcolica e livelli di acidità più bassi. Caratteristiche che Marilena ha saputo comunque interpretare al meglio, attraverso un vino che nel suo sviluppo al palato conserva un carattere estremamente vitale, spinto da una tensione letteralmente sapida. Il profilo aromatico mantiene senz’altro i caratteri dolci del varietale, lo zibibbo, ma al tempo stesso risulta perfettamente bilanciato da una contrapposizione che si esprime in tonalità sulfuree, erbe e spezie pungenti in grado di accompagnare, anche al sorso, l’intensità salina con dei “beaux amers” (tanto per citare la terminologia enoica francese che dell’amaro in un vino non ne riconosce unicamente il difetto).
Roma, il 10 giugno 2016
Francesco Petroli