La Franciacorta di Mosnel
|Franciacorta: terra antica di vini, oggi sinonimo di qualità in Italia e all’estero. E’ proprio di un medico bresciano, Girolamo Conforti, il Libellus de vino mordaci (1570) dedicato alla tecnica di preparazione dei vini con rifermentazione naturale in bottiglia, in cui si parla dei vini della zona di Franciacorta e dei loro effetti benefici e terapeutici, a riprova del fatto che genialità e conoscenza italiana spesso son venute prima di quelle straniere, a cui va però attribuita l’abilità di aver dato seguito e continuità alle brillanti intuizioni. Il Disciplinare viene concesso nel 1967, a conferma ed esito del tenace impegno di un gruppo di 9 viticoltori pronti a tutto affinché emergesse l’identità vitivinicola della zona, che ottiene la DOCG nel 1995 (prima DOCG tra i metodo classico) e ad oggi conta 2.800 ettari di vigneto sparsi su 19 comuni della provincia di Brescia.
A differenza di altre zone d’Italia, la Franciacorta non colpisce per la poesia o la bellezza del suo territorio, piuttosto per la sua funzionalizzazione: ogni atto è dedito alla qualità estrema. Caso raro in Italia, il terreno è stato studiato nei suoi minimi dettagli grazie a un attento lavoro di zonazione dall’Università di Milano, sotto la guida di Attilio Scienza. E i risultati si vedono, si sentono e si assaggiano.
Il Mosnel, una delle mie cantine preferite. Il nome ha origine celtiche, il termine significa sasso, pietraia. La residenza con le sue cantine cinquecentesche si staglia a Camignone e viene ereditata dalla famiglia Barboglio nel 1836. I loro vini parlano di semplicità, eleganza, affidabilità e piacevolezza. Sono quei vini che berresti sempre, alla prima occasione, quelli per cui non c’è una buona ragione per aprirli, quelli che hai sempre a portata di mano perché poi l’occasione giusta si trova sempre. Ecco qui i miei preferiti della cantina.
Partiamo dal Brut: la cuvée nasce dall’assemblaggio di quattro vini, Chardonnay fermentato in botti piccole, Chardonnay di altra annata vinificato in acciaio, Pinot Bianco e Pinot nero che vedono solo acciaio vengono uniti per riposare sui lieviti 18 mesi. La spuma è ricca, il naso è ammaliante e delicato, prevalentemente fresco e fruttato. Al palato vien fuori la cremosità tipica della zona, con una bollicina che stuzzica il palato e invita immediatamente al sorso successivo. E’ il vino perfetto per aperitivi e cibi senza troppo impegno, per la chiacchiera con gli amici e anche per la cena di tutti i giorni. Io l’ho provato con un ricco risotto bianco ai finferli, in cui la freschezza del vino ha ben asciugato la grassezza del burro. Forse non un abbinamento da manuale, ma sicuramente di gusto per il mio palato.
Satèn millesimato (2009), a detta di alcuni il Satèn per antonomasia. La sua luminosità parla senza ancora aver accostato il naso al bicchiere. Ha un profumo gradevole ed elegante, minerale e fruttato di pera ed ananas, per chiudere su note di vanillina e pasticceria. In bocca le sue bollicine sono sottili, delicate e carezzevoli. C’è una perfetta corrispondenza con l’olfatto, tornano coerentemente le sensazioni del frutto e dello zucchero, in una cremosità che avvolge il palato senza stancare mai, grazie alla vivacità della freschezza e della sapidità. Una descrizione tanto soave farebbe pensare ad un abbinamento diverso, ma la prossima volta vorrei proprio provarlo con una carbonara! E voi?
Marta Di Iorio, Bruxelles il 27 aprile 2015
Amo sulla tavola, quando si conversa,
la luce di una bottiglia di intelligente vino.
Pablo Neruda (1904 – 1973)
note: immagine di copertina www.ilmosnel.com