La magia del Castello di Monsanto
|Chianti: non può mancare una visita al Castello di Monsanto.
Veniamo accolti da un sontuoso cancello e poi dal sorriso di Valentina che, gentilissima, si offre di accompagnarci a visitare la proprietà.
Penombra, silenzio, temperatura fresca, spazi enormi, una sensazione di pace profonda, la curiosità di spingersi oltre, cumuli di passato provenienti da un altro tempo, un senso di immobilità che nulla ha a che vedere con la staticità, ma più con la vita che mostra le sue tracce e il suo incessante lento divenire: ecco ciò che si prova visitando la cantina del Castello di Monsanto.
Pur essendo tra le colline chiantigiane in quel di Barberino Val d’Elsa, sembra di visitare un antico relitto con i suoi misteri nelle profondità marine. Un’esperienza che non può mancare per ogni appassionato di vino e non: la “sacralità” di certi luoghi trascende la passione enologica. I meandri in cui si snoda la cantina trasudano impegno e passione, sia dei tre uomini che l’hanno costruita che di chi contribuisce alla produzione odierna. Si passeggia per questi ampi corridoi e si rimane estasiati alla vista del numero enorme di bottiglie, una riserva storica del “Poggio” da fare invidia alle migliori cantine…e ringrazio la famiglia per averlo reso accessibile al pubblico. E’ un segno tangibile di quanto storia ci sia dietro il vino.
E’ un viaggio a ritroso nel tempo: dalle botti via via verso il passato più lontano delle bottiglie polverose, stipate con ordine nelle nicchie laterali fino alla stanza finale in cui riposa la prima annata del Poggio, il 1962. In quei corrodoi risiede nel vero senso del termine ogni passaggio importante della vita familiare: piccoli incavi scavati nella roccia accolgono bottiglie dedicate a ciascun nuovo nipote. Nome e anno di nascita campeggiano su ogni cancelletto, per alcune l’etichetta con la foto. Accanto, cumuli di fossili marini ritrovati in quella terra ne mostrano la ricchezza e già fanno immaginare vini memorabili.
E dopo la passeggiata all’ombra di botti e bottiglie, si apprezza ancor di più il ritorno alla luce, in un’ampia sala elegante di fronte a un giardino curato e ospitale. L’accoglienza è speciale: ci si siede e si chiacchiera amabilmente della storia che caratterizza ogni vino, come è nato, il suo nome. Ad ogni bottiglia la sua importanza.
Si passa alla degustazione dei vini, partendo dallo Chardonnay 2007: la selezione di uve provenienti dal vigneto Valdigallo porta a un sorprendente vino er il territorio Toscano. Vinificato parzialmente in barrique e parzialmente in acciaio, sosta almeno due anni in bottiglia prima di essere messo in commercio. Ha una caratura importante, un sorso profondo. Un vino apprezzabile e di calibro, dalla bevuta piena. Molto piacevole e dallo spirito “borgognone”, sia per bottiglia che per contenuto.
Tra i rossi, Chianti Classico 2012 e Chianti Classico Riserva 2011 esprimono entrambi eleganza, con un’acidità perfettamente integrata ma concreta, equipaggiati di un bagaglio minerale notevole che ne rende piacevolissima la bevuta. Meno nelle mie corde, ma pur sempre di ottima fattura, il Nemo, prodotto con 100% Cabernet Sauvignon, per ricordare l’azzardo di impiantare più di trent’anni fa un vitigno rosso internazionale nella terra dedita storicamente al Sangiovese (dal famoso detto “Nemo profeta in patria”).
Rimango tuttora con la curiosità di assaggiare il Poggio in una qualsiasi delle sue annate. So che è un vino di assoluto prestigio e ancora mi dispiaccio per aver mancato una verticale tenutasi recentemente a Roma. Come ci si raccomanda di non visitare tutte le amenità di un luogo per aver la scusa di tornarci, così mi auguro in una prossima visita di apprezzare la Riserva Poggio in tutto il suo splendore proprio lì dove nasce.
Roma, 25 Giugno 2014
Marta Di Iorio