La Genova di Gianni Ruggiero e il Bianco di Coronata

Gianni Ruggiero 2Genova, la vera Genova, sarà sempre la Genova dei caruggi. Tutto intorno la citta’ordinata tra via XX Settembre, piazza De Ferrari e via Roma, ma basta un passo e si scivola in un mondo parallelo di selvaggia bellezza. Selvaggia, perchè i caruggi sono un’emozione fisica: i passaggi repentini di luce e ombra, la tramontana che d’inverno ti gela le ossa, l’odore caldo della focaccia che arriva da un forno, la puzza di rinfrescume di qualche avanzo di mercato, le voci della gente o dei venditori . Gli occhi non riposano mai nei carrugi: un angolo degradato puo’ schiudersi in una piazza di intatta bellezza, un gatto spappolare i resti di un piccione morto sotto un vetusto portale d’ardesia con San Giorgio e il Drago, una bagascia frusta di tante stagioni vendersi sotto un’edicola settecentesca dove campeggia l’immagine della Vergine Maria. Dappertutto botteghe e affari di piccolo, veloce cabotaggio: vecchie ferramenta e rivenduglioli di jeans, una chiesa sconsacrata che vende profumi sotto affreschi sacri, bancarelle coi dischi di Lauzi e di De Andre’e i DVD soft porno, mercerie centenarie con proprietari vecchi vecchi dove sono ancora accatastate cose che non si sa bene chi le compri. E poi ci sono le botteghe del cibo, i pescivendoli, le macellerie, gli ortolani, i focacceri, tutte compresse in piccoli spazi, qualcuna antica come le mura che le accolgono, altre con civettuoli arredi finto storici nel sogno di una Genova che si rinnova tra restauri importanti e cumuli di rumenta dove meno la si aspetta. Nei caruggi non si parla italiano, regna il dialetto genovese: perfino i neri, gli arabi, i sudamericani e tutto il mondo indecifrabile di una immigrazione sempre ai margini della legge, quando non parlano la loro lingua nativa dicono belin come i veri genovesi. Facce che inquietano nel buio della notte, certo, anche se non erano gabibbi, ma genovesissismi i due sicari che uccisero in piazza Banchi in un freddo giorno del febbraio 1682 Alessandro Stradella, raffinato musicista, padre del concerto grosso, colpevole di aver sedotto una nobile Lomellini. Nei caruggi le bettole di un tempo sono sempre più rare, quelle dove, per intendersi, il pesto delle trenette aveva una quantita’di aglio orgogliosa e gagliarda e dove si mangiava ancora la sbira, una zuppa di trippe, conforto per detenuti delle carceri cittadine. Oggi prevalgono piuttosto le farinate take-away, oppure i locali tenuti da giovani che in ambienti piu’o meno suggestivi ” rivisitano” la cucina storica. Il piacere gourmet nei caruggi e’un pezzo di focaccia stretto tra le dita, il mento imbrattato di olio e grani di sale, una carta unta che ti resta in mano. I contrasti colpiscono anche girando l’occhio tra i palazzi. Si incrociano le dimore austere e al tempo stesse sfarzose degli Spinola, dei Doria, dei Cattaneo e poi, svoltato l’angolo, ci si trova a lambire una porta socchiusa con un letto sfatto adibito ad amori mercenari di poco costo. E fa contrasto anche passare da elementari latterie dove si sorseggia un caffe’con un cucchiaino di stagno un poco storto dai prolungati usi alla raffinata eleganza di una pasticceria ottocentesca come Klainguti in piazza Soziglia, che luccica di stucchi e decori di un tempo che non c’è più.

Vino-Coronata-1Nei caruggi non ci si perde mai: a un certo punto da qualche parte si sbuca: una piazza, la via della Cattedrale , San Lorenzo, la grande strada dei Musei e dei Palazzi nobili, via Garibaldi, il mare. Il mare che purifica dalla penombra dei caruggi si spalanca e si allarga nella mole colorata di Palazzo San Giorgio, nelle nuove architetture del porto con le vele e i dinghy che risalgono il vento, nella confusione dei negozi e delle bancarelle di Sottoripa e poi nei baretti dove gia’di prima mattina ci sono avventori, quelli che entrano con un belin figeu e sgranocchiano focaccia con le cipolle e baccaleri bagnando il tutto con un gianchin di Coronata. In questi locali non manca mai un biliardo e qualche tavolo per bestemmiare la sfortuna delle carte, un gagliardetto dei Grifoni o del Doria e un mondo di le loro storie quasi sempre tristi, venate di mugugno. Perche’dai caruggi si sbuca, ma in fondo non se ne esce mai, nemmeno quando si emigra e si sogna.

Roma il 23 maggio 2014
Gianni Ruggiero

Gianni RuggieroGIANNI RUGGIERO: Sestri ponente e Giovanni Battista l’omonimo ospedale mi hanno dato il nome e i natali, le sue colline da Borzoli a Begato fino a Bolzaneto mi hanno regalato un vino che ha accompagnato i momenti più felici della mia vita quando mio padre maestro d’ascia alla Fincantieri mi portava al circolo del molo e insieme al profumo della segatura si faceva colazione con il Bianco di Coronata. Vino che raccoglie in se l’essenza del mio modo d’essere e appartenere a quel territorio, perché la cultura del vino non deve essere necessariamente elitaria. Un gianchin di Coronata mi ha regalato emozioni e lasciato ricordi che neanche il più grande Pinot nero di Borgogna dal cognome della più grande ala del mio grifone poi passata alla Roma, mia città adottiva e culla dei miei tre figli.
Doveroso,quindi,un regalo alla mia città in questo angolo di libertà (into the wine) al quale, se voi vorrete, dedicherò qualche volta, un piccolo racconto riguardo la poesia del vino ed i suoi incanti.
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